Io voglio essere un medico, per scelta di vita, in ogni momento, senza distinzione tra ruolo pubblico e privato. Mi sforzo di essere un appiglio consolatore per chiunque incontro in affanno per le turbolenze della vita.
Quando una persona si ammala, specie di una malattia cronica dolorosa, riscopre molte paure e incertezze di quando era bambino. La scienza oggi propone terapie, importanti sicuramente, ma esse non sono mai una cura. I farmaci sono uguali per tutti, ma ogni persona è diversa. La diversità dipende in gran parte dal proprio vissuto, dal diverso modo di vivere la propria malattia nel contesto delle proprie abitudini, affetti, autostima.
Un medico che si vuole comportare da padre ascolta il proprio malato con partecipazione ed è capace di compassione. Applica le conoscenze della scienza, ma ne conosce i limiti ed agisce consapevolmente di conseguenza. Dare disponibilità ad essere contattato facilmente e favorire che questa persona si confronti con altre che hanno medesimi problemi può contribuire a ridurre le incertezze e le paure. Confessare di non sapere, ma garantire di fare ogni cosa per meglio capire, è onesto e rassicurante.
Questo vuol dire essere medico, non per diploma, ma per vocazione e impegno a resistere ad un mondo impersonale e complicato che spesso fa vacillare ogni buona volontà.
Roberto Gorla